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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12032/2020 interviene sulla questione dei permessi previsti dall’art. 33 comma 3 della legge 104/1992 per assistere il familiare con disabilità e riafferma il principio secondo cui il lavoratore può essere accusato di abuso o uso improprio di questo permesso, solo in assenza del nesso di causa tra assenza dal lavoro e assistenza alla persona bisognosa.

Il caso riguarda una lavoratrice che fruiva dei permessi mensili per assistenza alla madre; l’azienda cui la lavoratrice era dipendente, nel ritenere che utilizzasse i permessi per altro scopo, aveva promosso ricorso facendo uso di un’agenzia investigativa che ha pedinato la donna durante le giornate di permesso. La Cassazione ha ritenuto che la donna non abbia violato la legge ribadendo alcuni concetti generali:
– l’assistenza si esplica con una serie di attività anche “non implicanti necessariamente la permanenza presso l’abitazione” della persona oggetto di cura;
– soltanto in “assenza del nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile si è in presenza di un uso improprio odi un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente“.

Inoltre, con un riferimento al congedo straordinario di cui all’art 42, comma 5, del decreto legislativo 151/2001, la Corte ricorda che “l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile, un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale“.