Print Friendly, PDF & Email

Comunicazione inviata a tutte le sezioni AIPD dal prof. Gabriele Bazzocchi, Presidente AIPD di Ravenna, Consulente Scientifico pro-tempore AIPD Nazionale

E’ stato pubblicato il lavoro scientifico della Società Scientifica T21RS, originato dalle risposte dei questionari compilati dai famigliari di persone con SD e/o dai loro medici curanti, in vari paesi del mondo.

Si riportano la pubblicazione originale (come doverosa documentazione per ogni discussione in merito, anche se in inglese – cita nei ringraziamenti, tra le tante organizzazioni, anche AIPD per aver contribuito allo studio) e il poster  – in italiano – che di fatto riassume i risultati principali di questa ricerca.

In sostanza quindi cosa va a dire questo studio:
– il lavoro riporta informazioni sui sintomi, i fattori di rischio e gli esiti relativi a 1046 persone con SD che hanno contratto l’infezione da COVID-19 in vari paesi, ma principalmente in 7 tra cui l’Italia
– i sintomi nelle persone con SD sono stati gli stessi che nella popolazione generale: febbre, tosse, fatica a respirare. Sono stati invece più frequenti alterazioni dello stato di coscienza.
– i fattori di rischio per l’ospedalizzazione e la mortalità erano sovrapponibili a quelli della popolazione generale: età avanzata, sesso maschile, diabete, obesità, demenza, con in più la presenza di difetti cardiaci congeniti.
– il tasso di mortalità mostrava un rapido aumento sopra i 40 anni ed era circa 3 volte più alto di quello dei soggetti di controllo senza la SD, anche dopo avere aggiustato il dato statistico tenendo conto dei fattori di rischio per la mortalità da COVID-19: il rischio di mortalità per le persone con SD con più di 40 anni è comparabile a quello della popolazione generale di 85 anni.
– si conclude quindi raccomandando di rivolgere una particolare attenzione e cura alle persone con SD adulte sopra i 40 anni, MA ANCHE DI FORNIRE A TUTTE LE PERSONE DI OGNI ETA’ UNA SUPPLEMENTAZIONE CON VITAMINA D E DI SOTTOPORLE A VACCINAZIONE SIA PER L’INFLUENZA CHE PER IL PNEUMOCOCCO nel corrente inverno, in aggiunta alle misure che localmente vengono disposte come distanziamento sociale, uso della mascherina e lavaggio frequente delle mani
Come vedete i dati di questo studio sono molto più completi e portano a conclusioni molto diverse da quella informazione circolata qualche settimana fa, derivante dal Comunicato dell’Istituto Superiore di Sanità, che affermava un rischio di mortalità per la persona con SD 10 volte superiore alla popolazione generale.

T21RS, dopo avere pubblicato la sua ricerca, ha voluto diffondere una dichiarazione, in particolare rivolta alle Autorità Sanitarie del Regno Unito, sulla speciale “protezione” che era stata decisa per le persone con SD. Infatti tutte le persone con SD sopra i 18 anni erano state inserite nella lista dei soggetti “estremamente vulnerabili” all’infezione da COVID-19. Questa decisione rischiava di avere pesanti conseguenze sul piano sia fisico che mentale per questa popolazione di SD, perché andava a restringere in modo irragionevole le opportunità di occupazione, lavoro, svago e tutte le altre attività, con un impatto negativo sui loro contesti di vita. La dichiarazione (disponibile QUI in originale per completezza di documentazione) ribadisce come la popolazione con SD rappresenta un gruppo eterogeneo i cui rischi di ospedalizzazione e morte sono del tutto simili a quelli della popolazione generale, ad eccezione del fatto che se in questa il rischio di conseguenze gravi si realizza dopo i 60 anni, nella Sd ciò inizia dopo i 40.

La popolazione con SD sotto questa età non deve essere confinata o diversamente trattata a meno che non soffra di obesità o epilessia.
Questa dichiarazione si era resa necessaria perché contemporaneamente era stata pubblicata su Annals of Internal Medicine una lettera di un gruppo di ricercatori sempre inglesi, che invece concludeva che per la popolazione con SD esiste un rischio 4 volte superiore per una ospedalizzazione una volta contratto il COVID-19, e che è di 10 volte il rischio di mortalità, per cui sono persone che vanno strategicamente protette.
Come vedete è un argomento che sta dando adito a molte discussioni, e quando queste vengono condotte sul piano scientifico e non pregiudiziale, ideologico, fanno sempre bene, ma anche a questo studio sono state fatte obiezioni convincenti: non voglio tediarvi più di tanto, ma i dati si riferiscono a 4053 persone con SD di cui solo in 27 sono decedute con un’età media di 61 anni e nessuna di loro aveva meno di 50 anni, per cui non supportano le conclusioni a cui gli Autori della lettera arrivano.

In conclusione vale quanto già detto: normali attenzioni predisposte per tutte le persone a seconda delle locali condizioni di contagio. Particolare cura alle persone con SD giovani che abbiano seri problemi di obesità e malattie neurologiche. Particolare cura alle persone con SD sopra i 40 anni. Vitamina D e vaccini a tutti.