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Riportiamo l’articolo “Inclusione scolastica: una ricorrenza che non dev’essere una banale celebrazione”, a firma di Salvatore Nocera, pubblicato sul sito Superando.it

Cade proprio oggi, 30 marzo, il cinquantesimo anniversario dall’approvazione della Legge 118/71 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), che introdusse timidamente, per la prima volta in Italia, il principio dell’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità nelle sezioni e nelle classi comuni, limitandola inizialmente solo agli alunni e alle alunne con disabilità fisiche non gravi e solo per la scuola elementare e media. Ciò grazie alle famiglie, che a partire dal 1968 avevano cominciato una lunga lotta pacifica, ma intransigente, sul diritto allo studio in situazione di uguaglianza ed effettiva inclusione con i compagni.
Tale lotta è proseguita in tutti gli anni successivi, riuscendo a coinvolgere anche docenti, dirigenti scolastici, funzionari amministrativi e ministri, ottenendo conquiste legislative, amministrative e giurisprudenziali, arrivate anche e soprattutto dalla Corte Costituzionale.

Tutto ciò dovrebbe essere ricordato in quest’anno in cui invece, a causa della pandemia, nonostante le Associazioni abbiano continuato a lottare duramente, anche ottenendo norme speciali, per mantenere il diritto all’inclusione dei propri figli «in situazione di effettiva inclusione con gruppetti di compagni a rotazione», questo lungo cammino di affermazione dei diritti umani delle persone con disabilità ha subìto un grave arresto. Infatti, è accaduto che moltissime scuole abbiano disatteso le apposite norme ministeriali, costringendo gli alunni, specie con disabilità intellettive e relazionali, alla perdita dell’istruzione, con l’inutilità della didattica a distanza o con l’umiliante presenza di essi da soli a scuola, privi cioè del gruppetto di compagni che la normativa consentiva o, peggio, ghettizzati tutti insieme in un’unica classe, con il ripristino, di fatto, delle “classi speciali” che proprio a partire dalla Legge 118/71 erano state abbandonate in massa dagli alunni e dalle alunne con disabilità, per iniziare finalmente la vita di tutti e con tutti.

Ora, con l’approssimarsi degli scrutini e degli esami si ripropone un anno dopo lo stesso problema: promuovere o bocciare a causa della perdita di scolarizzazione forzata.
Lo scorso anno, mentre saggiamente il Ministero aveva adottato il principio che tutti gli alunni fossero ammessi agli esami o promossi alla classe successiva, per recuperare a settembre, per i soli alunni e alunne con disabilità fu varata una norma, apparentemente favorevole, ma sostanzialmente discriminatoria e umiliante, e cioè che potessero tutti e tutte essere indistintamente bocciati, a richiesta delle famiglie. Sempre lo scorso anno, tra l’altro, i corsi di recupero non furono in molti casi realizzati, data l’improvvisazione e l’inatteso scoppio dell’epidemia.
Adesso, però, dopo oltre un anno di esperienze e tentativi, oltreché di ampie discussioni condotte dagli esperti, ripetere quanto fatto nel 2020 sarebbe errato e, perseverando, diabolico.
Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha giustamente detto che occorrerà svolgere recuperi già dall’estate e proseguirli all’inizio dell’autunno, mettendo in atto proposte maturate durante questo lungo periodo di tentativi di non far soccombere la scuola sotto l’urto terribile della pandemia.
Ci si augura pertanto che proprio nel cinquantenario della Legge 118/71, gli alunni e le alunne con disabilità riescano a diventare una vera opportunità per i compagni, ottenendo da tutte le scuole il diritto all’inclusione scolastica in presenza con gruppetti di compagni, che potrebbero moltiplicarsi, anche in locali diversi dalle scuole, avviando così, nei fatti, la riforma che lo stesso ministro Bianchi sembra voler avviare, «superando – per usare le sue stesse parole – una didattica ottocentesca solo frontale, in “classi pollaio”, tramite una didattica, una logistica e un’inclusione rinnovate».