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AIPD chiede che i gestori dei social rimuovano video e commenti offensivi e privino gli influencer del proprio profilo, quando diffondono un linguaggio osceno come quello di Sdrumox. “Interventi nelle scuole e in famiglia per prevenire, ma anche maggiori controlli sui social. Come associazione siamo indignati, noi e le nostre famiglie: questi personaggi fanno troppo rumore, andrebbero isolati”

Roma. 26 gennaio 2022 – “Abbiamo atteso qualche giorno per intervenire nel dibattito, consapevoli che l’obiettivo di certi personaggi della rete sia proprio quello di far parlare di sé: le provocazioni e gli insulti sono funzionali a suscitare critiche per stare al centro dell’attenzione e aumentare le visualizzazioni. Prenderne le distanze è doveroso, in difesa delle famiglie che si sono sentite offese. E infatti AIPD ha prontamente segnalato il video, utilizzando gli strumenti messi a disposizione da YouTube. Ma attenzione a non essere cassa di risonanza per questi personaggi a caccia di click”: così Gianfranco Salbini, presidente dell’Associazione italiana persone Down, commenta l’intervista video di Sdrumox”. Il video, ora rimosso, prendeva di mira con parole oscene e offensive le persone con disabilità, in particolare le ragazze con sindrome di Down.
“Sappiamo da tempo che internet è un mondo virtuale con pericoli reali – commenta Salbini – Per questo bisogna informare e formare con attenzione gli utenti, soprattutto i più giovani, visto che il web fa parte della quotidianità, internet fornisce l’accesso a molti servizi e contenuti, le comunicazioni e le informazioni avvengono con rapidità nelle proprie mani o strumenti. I social network sono accessibili a tutti e ormai non c’è quasi chi non ne faccia uso: specialmente i più giovani, ne fruiscono ormai quotidianamente. E’ spaventoso pensare a quante migliaia di ragazze e ragazzi abbiano potuto vedere quel video, assistere a quella fiera della volgarità e dell’insulto e magari sorridere per quelle battute offensive e di pessimo gusto. Come associazione e come famiglie di persone con sindrome di Down, questo ci ferisce e ci preoccupa profondamente”, aggiunge Salbini.
La figura degli influencer, poi, richiede una seria riflessione: “La rete è ormai per molti un lavoro e una carriera, un palcoscenico con una platea spesso molto numerosa: il sogno, per tanti giovani aspiranti influencer, è di collezionare migliaia e milioni di like. A questo scopo, è spesso funzionale anche la provocazione, l’insulto, il tema o l’opinione che, nel bene o nel male, porti visualizzazioni, commenti, insomma visibilità. E per monetizzare questa visibilità, tanti sono disposti anche a calpestare la dignità delle persone, accanendosi proprio con i più deboli, trasformati in facili bersagli”.
Che fare allora? “Innanzitutto dobbiamo proteggerli e proteggerci: per questo, chiediamo ai gestori dei social non solo di rimuovere i video e i commenti offensivi, come ora hanno fatto con il video incriminato, ma di bloccare i profili e i canali che adottano linguaggi e atteggiamenti insultanti e discriminanti: i social sono armi vere e proprie, per maneggiarli ci vorrebbe una licenza, ma se questa licenza non c’è, occorre almeno sottrarli a chi ne fa cattivo uso. Il linguaggio dei social, infatti, condiziona enormemente la crescita e il bagaglio di valori delle nuove generazioni: dobbiamo quindi vigilare e fare in modo che non siano trasmessi messaggi devianti, tramite canali che hanno tanta risonanza e penetrazione sociale, soprattutto tra i più giovani. Da un’indagine svolta da Save The Children è emerso che la percentuale di bambini tra i 6 e i 10 anni che si connette ad Internet è del 54%, per arrivare fino al 94% nella fascia di età tra i 15 ed i 17 anni”.
E poi c’è l’arma difensiva e preventiva per eccellenza, ovvero la formazione: “Abbiamo bisogno di promuovere e rinforzare interventi precoci non solo in famiglia, ma nelle scuole di ogni ordine e grado, senza mai abbassare la guardia. La prevenzione è l’unica arma con cui possiamo creare e difendere un contesto sociale più dignitoso e responsabile nei confronti di tutte le persone. Perché non dimentichiamo che le persone con sindrome di Down non sono la loro sindrome: sono prima di tutto persone”, conclude Salbini.