La questione del diploma al termine della scuola secondaria di secondo grado per gli alunni con disabilità intellettiva è stata da sempre argomento di accesi dibattiti. Anche noi abbiamo da sempre espresso la nostra posizione, tenendo conto della normativa esistente, ma anche, e soprattutto, degli alunni per i quali scuola e famiglia devono scegliere il tipo di percorso didattico dei 5 anni di scuola superiore (vedi l’articolo del 2020).
Abbiamo sempre sostenuto che l’aspetto cruciale che dovrebbe guidare tale scelta debba essere esclusivamente il benessere e la serenità dell’alunno: non proporre percorsi troppo elevati e stressanti, né però nemmeno troppo semplicistici e demotivanti, perché le competenze di ciascun alunno sono diverse ed è doveroso offrire tutte le opportunità per il massimo sviluppo delle potenzialità di ciascuno.
L’articolo “Un pezzo di carta” è il titolo del cortometraggio prodotto dall’istituto scolastico “Epifanio Ferdinando” di Mesagne pubblicato su Il Gazzettino di Brindisi l’8 settembre scorso presenta un cortometraggio, che non abbiamo potuto vedere in quanto non ancora pubblicato on-line, realizzato su questo tema dall’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore citato nel titolo per raccontare “la storia di uno studente con disturbi dell’apprendimento, sempre più frustrato e in difficoltà a causa dell’ostinazione della madre, che si rifiuta di fargli seguire un percorso di studi differenziato, che tenta di togliersi la vita” (QUI il comunicato stampa AIPD dedicato).
A parte l’inesattezza normativa che balza agli occhi, in quanto una programmazione didattica differenziata è prevista solo per gli alunni con disabilità certificata e non per quelli con un disturbo dell’apprendimento, come invece viene definito (forse erroneamente?) il protagonista del video, quello che ci ha meravigliato sono i toni utilizzati dalla scuola nei confronti dei genitori.
In vari virgolettati dell’articolo infatti la scuola accusa in maniera molto cruda e impietosa i genitori degli alunni con disabilità di essere “adulti che li considerano [i propri figli – n.d.r.] proiezioni delle proprie aspirazioni represse e li utilizzano come pedine per cercare un improbabile riscatto dai propri insuccessi e dalle proprie comprensibili frustrazioni”.
E ancora la scuola motiva la scelta di realizzare il video per raccontare “storie di ostacoli che spesso appaiono insormontabili, creati dall’egoismo di genitori riluttanti ad accettare la “diversità” dei propri figli, che l’Istituto Epifanio Ferdinando ha voluto far conoscere all’esterno”.
Inaccettabile per prima cosa è la generalizzazione operata dalla scuola nei confronti dei genitori, che, come i propri figli, sono innanzitutto persone: ognuna differente dall’altra.
Inoltre i toni riportati nell’articolo vanno anche contro la soluzione che la stessa scuola sembra sostenere a parole, ma non molto nei fatti: “solo un costante lavoro sinergico tra scuola e famiglia […] possa garantire un lieto fine”.
A parte il fatto che il “lieto fine” non necessariamente deve essere per tutti la scelta di un percorso didattico differenziato, per realizzare veramente il “costante lavoro sinergico” indicato dalla scuola, certamente l’accusa della famiglia, vista solo come controparte, non ci sembra essere la modalità più efficace.
Siamo realmente convinti che questa sinergia sia l’unica chiave efficace per realizzare percorsi scolastici di successo per gli alunni con disabilità ed i loro compagni, ma per fare questo scuola e famiglia devono innanzitutto riconoscersi reciprocamente come partner attivi, competenti e significativi in un percorso di cooperazione e condivisione.
Dispiace che la scuola si sia prodigata in un progetto di realizzazione di un cortometraggio, sicuramente impegnativo dal punto di vista di tempo, risorse e impegno e che sicuramente poteva essere uno strumento di forte impatto per passare un messaggio importante. Ma se il messaggio che vuole trasmettere è che la scuola “buona” deve combattere con i genitori “ostinati”, “egoisti”, “riluttanti ad accettare la diversità dei figli” che vengono anzi “utilizzati per cercare un improbabile riscatto dai propri insuccessi e dalle proprie comprensibili frustrazioni”, dobbiamo amaramente constatare la superficialità di questa scuola, che forse non ha compreso fino in fondo né la storia e la fatica che i genitori quotidianamente devono affrontare, spesso anche per vedersi riconosciuti dei diritti negati; ma non ha compreso nemmeno il proprio ruolo di istituzione e comunità educante, che dovrebbe mettersi accanto alla famiglia con la sua professionalità per aiutarla nella crescita del proprio figlio, nel rispetto dei vissuti profondi e dei diversi ruoli.
Ci saremmo aspettati che una scuola riconoscesse i numerosi pregiudizi che purtroppo ancora aleggiano intorno alle persone con disabilità e le loro famiglie e li provasse a demolire con una corretta informazione. Invece questa scuola li ha semplicemente e incomprensibilmente cavalcati e rinforzati.
Si potrebbe far presente che, oltre a poter realmente esistere alcune famiglie con caratteristiche simili a quelle addebitate dalla scuola alla categoria dei “genitori” (e comunque andrebbe compreso il perchè e magari provare ad aiutarle, anziché accusarle), esistono anche alcune scuole che, per semplificare il proprio lavoro, snaturandolo, propongono una programmazione differenziata a tutti gli alunni con disabilità (specie se intellettiva) ancora prima di conoscere le reali potenzialità dei singoli alunni, o negano dei diritti agli alunni con disabilità: partecipazione alle gite, riduzioni improprie di orario, assistenza igienica… tanto per fare degli esempi concreti.
Ma non ci interessa difendere per principio le famiglie e cercare chi è il più colpevole. Crediamo e lavoriamo da anni per una scuola di qualità per tutti, una scuola inclusiva, dove le differenze sono viste come una risorsa e non come un inevitabile ostacolo da sopportare più o meno pazientemente; e sappiamo per esperienza che esistono scuole egregie nel fare questo, come pure ne esistono altre non così inclusive.
Come ci sono sicuramente famiglie più consapevoli di altre.
Ci interessa piuttosto evidenziare come sia facile trasmettere, anche in buona fede, un messaggio stereotipato e sbagliato, che non analizza in profondità i temi affrontati e rende impossibile proprio quella sinergia che da sempre auspichiamo e promuoviamo a tutti i livelli tra scuola e famiglia.
Doverosamente attendiamo di vedere il cortometraggio per un giudizio più completo, ma se il messaggio sarà quello stereotipato che si evince dal trailer e dal suo articolo di presentazione, auspichiamo che non venga mai pubblicato o almeno chiediamo di poterlo visionare in anteprima per suggerire, con spirito di collaborazione, delle eventuali opportune modifiche.