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Ricorderete la collaborazione AIPD con la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta per il progetto DOSAGE: avviata nel 2015 con il coinvolgimento dell’Osservatorio AIPD sui Bisogni degli Adulti (osservatorio sperimentale poi non rinnovato), era stato proposto ad operatori e famiglie (fascia d’età delle persone con sdD sopra i 45 anni) il questionario online predisposto per la raccolta dati; già nel 2016 erano stati divulgati i primi risultati del progetto attraverso la  realizzazione di un convegno il 15 marzo 2016, al quale aveva partecipato per AIPD la dott.ssa Paola Gherardini, e sulla rivista AIPD “Sindrome Down Notizie” n. 2-2016 con un articolo a firma delle dott.sse Venusia Covelli e Matilde Leonardi.

Con un comunicato stampa disponibile online sul suo sito, la Fondazione Besta di Milano rende nota oggi la pubblicazione dello studio La vita quotidiana e la pianificazione del futuro delle persone anziane con Sindrome di Down: risultati di uno studio nazionale con i caregivers”,  sulla rivista Advances in Aging Research nel quale sono contenuti i risultati conclusivi del Progetto Nazionale di ricerca DOSAGE (Functioning and disability of Ageing people with Down Syndrome), finanziato dalla Fondazione Jerome Lejeune di Parigi, e coordinato dall’Unità Operativa Complessa Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con AIPD e ANFFAS:

«Partendo dalla constatazione della scarsità di studi sull’invecchiamento delle persone con sindrome di Down, abbiamo indagato la loro vita quotidiana passati i 45 anni per valutare la presenza, o l’assenza, di strumenti che aiutino ad affrontare l’oggi e, soprattutto, a pianificare meglio il loro futuro» spiega Matilde Leonardi, Direttore di Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico Carlo Besta che ha coordinato il lavoro insieme alle dottoresse Venusia Covelli ed Erika Guastafierro. «Ciò che emerge dalla nostra ricerca è la centralità della programmazione: lavorare “in emergenza” non è mai una buona idea. Fondamentale diventa parlare, costruire, progettare il futuro degli anziani con Sindrome di Down insieme a loro, partendo dalle attività, dalle abitudini, dalle consuetudini dell’oggi, pensando a cosa accadrà quando i caregiver, che di solito sono i genitori, non saranno più in grado di prendersi cura dei figli, allargando anche la sfera di persone che potrebbero essere coinvolte».

Nel dettaglio, sono stati intervistati 136 tra familiari e operatori che vivono e si occupano di over 45enni con sindrome di Down. La ricerca ha fatto emergere come queste persone – gran parte delle quali è stata costretta, a un certo punto della propria vita, a cambiare residenza o perché è mancato il caregiver principale oppure perché le persone che si occupavano di loro non sono state più in grado di farlo, per anzianità o malattia – vivono perlopiù a casa, con familiari, frequentano centri diurni dove svolgono diverse attività.
L’aspetto più rilevante osservato ha riguardato la mancanza di pianificazione del futuro: il 25% dei caregivers intervistati ha ammesso che, nonostante la consapevolezza dell’avanzare dell’età, non si è mai affrontato il tema del “cosa succede al nostro familiare quando noi non saremo più in grado di assisterlo”, mentre oltre il 30% ha dichiarato che cambiamenti sostanziali nella vita dell’anziano con sindrome di Down sono intervenuti in modo repentino e in emergenza, spesso a causa della morte di chi lo assisteva senza che fosse stata pianificata per tempo una sostituzione.

«Pianificare il futuro è fondamentale per favorire la continuità delle competenze acquisite in età adulta, evitando un deterioramento della qualità di vita di queste persone» prosegue la Dottoressa Leonardi. «Non è solo un intento organizzativo, ma significa tenere conto in modo di tutti gli aspetti, dalle condizioni di salute dell’anziano con sindrome di Down alle sue relazioni, ai supporti cui si affida, al domicilio, elementi che caratterizzano quotidianamente la loro vita, al fine di pianificare al meglio anche gli anni dell’invecchiamento, che in alcuni casi supera i 70 anni. Una sfida che non è possibile rimandare, ma che richiede di pensare a nuove formule rispetto a quelle fino a oggi considerate».