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Scheda pubblicata il 18/07/2020 e aggiornata il 18/07/2020


In questi ultimi anni la normativa italiana riguardante i temi della tutela per le persone con disabilità ha subìto una notevole evoluzione, soprattutto grazie all’emanazione della legge n. 6 del 2004 che oltre a introdurre la figura dell’amministratore di sostegno, ha modificato, rendendoli meno rigidi, gli istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione.

A fronte di molte novità legislative ma anche di convincimenti che riguardano le capacità delle persone con disabilità intellettiva – tanto radicati quanto spesso inesatti e che meritano di essere demistificati – riteniamo utile affrontare il tema della tutela descrivendone gli strumenti giuridici oggi a disposizione.

Prima entrare nel merito, può valer la pena fare chiarezza brevemente anche sul tema della responsabilità del cittadino (con disabilità o meno), così come viene indicata nella Costituzione, nel Codice civile e nel Codice penale perché riguardando tutti, riguarda anche le persone con disabilità intellettiva.

Tutti i minori, indipendentemente dalla sussistenza di una qualsiasi disabilità, sono soggetti alla potestà genitoriale sino al raggiungimento della maggiore età (codice civile, art. 316).

I genitori dunque rappresentano i figli minori (ne sono cioè i “rappresentanti legali”) in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Tuttavia, relativamente ad atti che eccedono l’ordinaria amministrazione (es: accettazione di un eredità da parte del minore, vendita di un immobile a lui intestato, riscossione di ingenti somme di denaro) è necessaria un’autorizzazione da parte del giudice tutelare (codice civile, art. 320).

Per quanto riguarda il concetto di responsabilità civile, con questa si intende l’obbligo di risarcire i danni cagionati a terzi causati ad esempio per negligenza o per imprudenza. Nel caso di danno causato da un minore, la responsabilità civile è attribuibile al genitore o al maggiorenne che lo aveva in quel momento sotto la propria vigilanza (codice civile, art. 2048).

La responsabilità penale presuppone invece l’accertamento di un reato al fine della irrogazione di una pena. Questa è sempre personale (Costituzione, art. 27), sia per i minori sia per i maggiorenni. Tuttavia, i minori di età inferiore ai quattordici anni non possono essere penalmente perseguiti.

In ogni caso, non è imputabile di un reato chi, nel momento del compimento dello stesso, non possedeva la capacità (naturale) di intendere e di volere (codice penale, art. 85). Non si tratta qui di alcun riferimento all’interdizione, ci si riferisce invece alla “consapevolezza” che in quel momento quella persona aveva dell’atto che stava compiendo (e che viene indagata attraverso le perizie di cui spesso si sente parlare in occasione di processi penali).

LE PARTICOLARI TUTELE PREVISTE PER LE PERSONE CON DISABILITÀ INTELLETTIVA

Per molti è dato per scontato che una persona con disabilità intellettiva, al compimento dei 18 anni, sia per la sua condizione riconosciuta giuridicamente incapace di intendere e di volere e che quindi sia necessario interdirlo e procedere alla nomina di un tutore. Non è così.

La capacità di intendere e di volere è data per ogni persona, è l’incapacità (giuridica) che deve essere riconosciuta, e per fare questo occorre che sia presentata una istanza al Tribunale perché un giudice riconosca tale incapacità.

Al di là delle difficoltà oggettive che si riconoscono alle persone con disabilità intellettiva per ciò che può riguardare temi complessi (quali per esempio la firma di un contratto, la vendita di un immobile, la gestione di somme importanti di denaro) e delle differenze che esistono tra le diverse persone con sindrome di Down, non è generalmente necessario richiederne l’interdizione.

I motivi sono molteplici, vi elenchiamo i principali:

  • non è assolutamente necessario richiedere l’interdizione per ottenere la conferma del riconoscimento dell’invalidità civile, così come l’interdizione non è un requisito per il diritto all’indennità di accompagnamento. Tantomeno è necessario essere interdetti per poter riscuotere la provvidenza economica; si può, eventualmente, delegare ad altra persona la riscossione delle mensilità o richiederne l’accreditamento su conto corrente postale o bancario di cui la persona con disabilità intellettiva può essere titolare;
  • l’interdizione limita i diritti della persona, poiché gli atti compiuti dall’interdetto possono essere annullati (codice civile, art. 427) e per molti altri viene sostituito dal tutore. Inoltre è espressamente disposto che la persona interdetta non può contrarre matrimonio (codice civile, art. 85).
  • a meno che non si tratti di persona con gravissime difficoltà e che si trovi nella necessità di dover gestire un patrimonio, l’interdizione non porta alcun giovamento alla sua qualità di vita; c’è chi ritiene che con l’interdizione si attivi una tutela da parte dello Stato nei confronti di quella persona: in realtà ciò che si attiva è un controllo da parte del giudice tutelare sull’agire del tutore, cioè di quella persona che al posto dell’interdetto gestisce i suoi interessi, e che è di solito, se presente, un familiare molto vicino: un genitore, un fratello, cioè la stessa persona che comunque se ne occuperebbe anche senza un riconoscimento “formale” del ruolo. Il tutore è obbligato a presentare periodicamente al giudice tutelare il rendiconto delle entrate e delle uscite, che può essere più o meno particolareggiato a seconda della richiesta del giudice.

E’ luogo comune, invece, che una persona interdetta non possa essere assunta al lavoro: tale limitazione derivava dall’esclusione delle persone interdette all’elettorato attivo, condizione questa invece necessaria per l’assunzione, come stabilito dai regolamenti per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni. Nel 1978, la legge n. 180 ha restituito il diritto di voto alle persone interdette e quindi uno dei requisiti necessari per l’assunzione. In ogni caso, se dal punto di vista normativo oggi non esiste una limitazione all’assunzione di una persona interdetta, di fatto è comunque molto difficile che un datore di lavoro accetti la firma di un tutore per la definizione di un contratto di lavoro.

L’emanazione della legge 9 gennaio 2004, n. 6, che rivede il Titolo XII del Codice Civile (“Dell’interdizione e dell’inabilitazione”, ora rinominato “Delle misure di protezione delle persone prive i tutto o in parte di autonomia”), ha istituito la figura dell’amministratore di sostegno e modificato parzialmente gli articoli relativi all’interdizione e all’inabilitazione.

Citiamo, anche se non si riferisce propriamente all’ambito della tutela così come il tema è stato impostato in questo documento, l’articolo 36 della legge n. 104 del 92 che prevede l’inasprimento della pena quando vittima dei reati considerati è una persona con handicap: “Aggravamento delle sanzioni penali. – 1. Per i reati di cui agli articoli 519, 520, 521, 522, 523, 527 e 628 del codice penale, nonché per i delitti non colposi contro la persona, di cui al titolo XII del libro II del codice penale, e per i reati di cui alla legge 20 febbraio 1958, n. 75, qualora l’offeso sia una persona handicappata la pena è aumentata da un terzo alla metà”

Esiste inoltre la legge 1 marzo 2006, n. 67: “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”. Questa legge promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all’art. 3 della legge n. 104 del 92, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.


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