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Scheda pubblicata il 13/07/2020 e aggiornata il 31/03/2023


I familiari del lavoratore o del pensionato, in presenza di determinati requisiti, hanno diritto, a seguito della sua scomparsa, alla pensione ai superstiti.

Questa si distingue in pensione indiretta (spetta ai componenti il nucleo familiare alla morte del lavoratore assicurato che abbia accumulato, anche in epoche diverse, almeno 15 anni di contribuzione, oppure 5 anni di contributi di cui almeno 3 nel quinquennio precedente la scomparsa) e in pensione di reversibilità (spetta quando la persona deceduta era già titolare di pensione di anzianità, di vecchiaia o ordinaria di inabilità).

I figli minorenni hanno sempre diritto alla pensione ai superstiti. I figli maggiorenni conservano il diritto solo se risultano a carico fiscale del genitore al momento della morte e comunque non superino il 21mo anno di età se studenti di scuola media o professionale o il 26mo se universitari.

Il diritto alla pensione ai superstiti sussiste invece, indipendentemente dall’età e dalla condizione di studente quando il figlio, a carico fiscale del genitore deceduto, sia riconosciuto “inabile al lavoro”.

E’ importante chiarire cosa la legge intende per “inabile” e per “vivenza a carico”. Il concetto di inabilità viene definito dalla legge n. 222 del 12 giugno 1984 (art. 2): “si considera inabile [… colui] il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”. Si tratta quindi di un concetto diverso dall’invalidità civile, pertanto coloro che hanno già un riconoscimento di invalidità, anche se del 100% o del “100% con necessità di assistenza continua”, non hanno diritto automaticamente alla pensione di reversibilità così come chi ha il 75% non ne è automaticamente escluso. L’inabilità al lavoro ai fini della pensione ai superstiti, deve essere riconosciuta dall’ente erogatore della prestazione.
Il decreto legge 248/2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 31/2008, ha stabilito all’art. 46 che il diritto alla pensione viene mantenuto anche nel caso in cui il figlio con disabilità (riconosciuto inabile al lavoro) svolga attività lavorativa per non più di 25 ore settimanali, sia stato assunto con contratti di formazione e lavoro, contratti di apprendistato o con le agevolazioni previste per le assunzioni di disoccupati di lunga durata o attraverso le convenzioni di cui all’art. 11 della legge n. 68 del 1999.
In questi casi l’ente erogatore deve anche accertare la finalità terapeutica del lavoro svolto (vedi su questo anche circolare INPS n. 15, 6 febbraio 2009) Anche l’attività lavorativa svolta con finalità terapeutiche presso cooperative sociali (di tipo B) non preclude il diritto alla pensione ai superstiti (circolare INPS 137 del 2001).

Per quanto riguarda il concetto della vivenza a carico per i figli inabili l’INPS (con circolare n. 137 del 2001) e l’INPDAP (con Informativa n. 34 del 2001) dispongono che al momento del decesso del genitore, il limite di reddito per il figlio è pari a quello stabilito per l’erogazione della pensione per gli invalidi civili, che per il 2023 è € 17.920; se poi il figlio inabile è riconosciuto “nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, necessiti di una assistenza continua”, il limite viene aumentato dell’importo dell’indennità di accompagnamento (per il 2023 è di € 6.302,04 annui): il limite di reddito (2023) in questo caso è di € 24.222,04.

I redditi da considerare sono quelli assoggettabili all’IRPEF (non vanno quindi conteggiate le provvidenze economiche di invalidità civile).

Nell’eventualità di decesso anche dell’altro genitore (lavoratore o pensionato), il figlio può ottenere una seconda pensione ai superstiti, semprechè risulti il requisito della vivenza a carico: a questo fine è rilevante l’importo della pensione ai superstiti che già percepisce, poiché la stessa è un reddito assoggettabile all’IRPEF.

Sia per stabilire l’inabilità al lavoro sia per la vivenza a carico del figlio, l’ente erogatore prende come riferimento il momento del decesso del genitore. Ciò significa che, se una persona viene riconosciuta titolare del diritto alla pensione di reversibilità perché in quel momento ricorrono i requisiti necessari, questo stesso diritto viene meno se, successivamente, uno di questi viene a modificarsi.

Decorrenza e quote

La pensione di reversibilità decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del genitore e spetta in una quota percentuale della pensione già liquidata o che sarebbe spettata allo stesso. Per ottenerla occorre presentare domanda all’INPS, se il lavoratore era iscritto a questo ente, o al proprio ente di riferimento.

Per le pensioni decorrenti dal 1 settembre 1995 (legge n. 335, 8 agosto ’95, art. 1, comma 41; circolare INPS n. 234, 25 agosto ’95): se i superstiti aventi diritto sono il coniuge e un figlio, questi percepiranno l’80%; se è il coniuge e due figli: il 100%; se i superstiti sono solo i figli: per un figlio si percepirà il 70%, per due figli l’80%, per tre o più figli il 100%.

Per quanto riguarda il cumulo della pensione con altri redditi, ricordiamo che la riduzione dell’importo della stessa, subordinato alla condizione di reddito del beneficiario non si applica se nel nucleo familiare sono presenti figli minori, studenti o inabili (art. 1,comma 41, legge n. 335, 8 agosto 1995)

In sintesi:

nel caso di figlio maggiorenne, a questi spetta la pensione ai superstiti solo se:

  • viene valutato “inabile al lavoro” dal medico INPS;
  • al momento del decesso del genitore è a suo carico e non ha un reddito personale superiore a quello indicato per l’erogazione della pensione di inabilità (o, se titolare di indennità di accompagnamento di un reddito pari a quello suddetto aumentato dell’importo dell’indennità stessa).

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